I QUATTRO TIPI DI INVECCHIAMENTO: AGIRE IN MODO MIRATO PUò ALLUNGARE LA VITA

E tu, di che invecchiotipo sei? È possibile che dovremo abituarci a questa bizzarra domanda perché ognuno di noi in modo differente, appunto secondo diversi invecchiotipi o ageotypes in inglese. Il neologismo è stato coniato qualche tempo fa da un genetista dell’università californiana di Stanford, Michael Snyder, che ha scoperto come il processo di invecchiamento sia meno lineare di quello che credevamo in passato perché il corpo non accusa gli anni ovunque allo stesso modo: alcuni organi e sistemi invecchiano prima e peggio di altri, che invece si mantengono giovani più a lungo.

I quattro principali tipi di invecchiamento

Stando alle ricerche di Snyder, le principali direttrici su cui viaggiamo quando passano gli anni sarebbero quattro: c’è chi ha il che subisce di più i colpi del tempo, chi è più «fragile» nel fegato, chi sente l’età soprattutto nei reni e chi invecchia prima a livello metabolico. Questi quattro talloni d’Achille individuerebbero i quattro principali tipi di invecchiamento, gli invecchiotipi appunto, e capire quale sia il nostro potrebbe essere un primo passo per puntare a una di successo, con interventi che anziché essere a 360 gradi potrebbero focalizzarsi soprattutto sul mantenere giovani le parti destinate a invecchiare più in fretta e male. Ulteriori indagini peraltro hanno già aumentato ad almeno 9 gli invecchiotipi possibili e lo stesso Snyder di recente ha affermato che «Abbiamo 78 organi, potrebbero esistere 78 invecchiotipi. È probabile che i principali siano circa 50, da ridurre a 20 tenendo conto che molti organi e sistemi sono strettamente interconnessi».

Che cosa incide sull’invecchiamento

Invecchiare è inevitabile, ma la velocità con cui lo fanno differenti organi e apparati non è la stessa: fra gli elementi che più incidono sul processo ci sono fattori genetici, abitudini di vita (chi è attivo avrà muscoli e ossa che restano giovani più a lungo) ma anche parametri come il ricambio cellulare, che quando è rapido contribuisce a mantenere giovani i tessuti, o lo stress ossidativo, maggiore per pelle o polmoni, direttamente a contatto con agenti esterni.

Geni, ambiente e scelte di vita influenzano perciò la modalità con cui le cellule, gli organi e i tessuti pian piano perdono la loro funzionalità e così, per esempio, chi ha passato una vita facendo un lavoro attivo all’aria aperta a 70 anni può magari avere cuore e polmoni in forma, ma la pelle rugosa. Tenendo conto di quale parte del corpo è più rapida nell’imboccare la via del declino si potrebbe agire per ridurre la velocità del processo in generale, secondo le teorie del genetista statunitense Michael Snyder.

Che cosa può cambiare nel percorso della vecchiaia

Il ricercatore seguendo nel tempo alcuni volontari e misurandone numerosi parametri, ha identificato i quattro principali invecchiotipi e con questi le patologie più spesso coinvolte nel percorso verso la vecchiaia. Chi ha un invecchiotipo metabolico, per esempio, ha più spesso valori alterati di glicemia e colesterolo, fa fatica a mantenere il peso e con il tempo tenderà a sviluppare con maggiore probabilità malattie cardiovascolari, obesità, diabete di tipo 2; chi è «debole» di fegato manifesta qualche difficoltà nel ripulire l’organismo dalle scorie e più spesso imbocca la vecchiaia con problemi come la steatosi epatica, il cosiddetto fegato grasso; l’invecchiotipo renale ha invece maggiori difficoltà a mantenere un bilancio idrico-salino adeguato e può andare incontro a ipertensione oltre che a insufficienza renale; infine, l’invecchiotipo immune è quello che ha minor capacità di gestire infiammazione e infezioni e può ammalarsi con maggiore probabilità di patologie come artrite reumatoide o sclerosi multipla.

Mix di tipi

Come ha spiegato Snyder, «il profilo di ciascuno è differente e può essere un mix fra diversi invecchiotipi, in cui uno è preponderante: un classico invecchiotipo immune con un profilo metabolico «giovane» sarà un anziano magro senza problemi di diabete, ma più a rischio di fronte alle eventuali infezioni». Individuare la nostra parte più «vecchia» potrebbe avere conseguenze pratiche: se per esempio si è proni a sviluppare il diabete per colpa di un invecchiotipo metabolico, gestire il peso e la resistenza all’insulina, l’ormone necessario per la gestione del glucosio potrebbero rallentare l’invecchiamento mantenendo in salute più a lungo. In alcuni volontari di Snyder è accaduto: modificando le abitudini, certi marcatori metabolici sono cambiati in meglio, almeno nel breve periodo.

Genetica ed epigenetica

Intanto le ricerche per caratterizzare al meglio gli invecchiotipi proseguono attingendo a una miriade di dati da progetti come la UK Biobank, che raccoglie informazioni genetiche, mediche e di stile di vita di oltre 50 mila britannici, o l’analoga China National GeneBank: i risultati già mostrano che andranno aggiunti ulteriori invecchiotipi, che tengano conto delle specifiche fragilità di organi e apparati come i polmoni, i muscoli, il cuore e i vasi. Il quadro insomma si sta complicando, senza contare che le indagini per identificare gli invecchiotipi sono difficili e non basta misurare glicemia, enzimi epatici o globuli bianchi, serve una complessa analisi genetica, metabolica e molecolare.

Andrea Ungar, presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, sottolinea che «il futuro della scienza dell’invecchiamento è nell’epigenetica, ovvero nella comprensione di come scelte e ambiente modificano l’espressione dei geni e quindi indirizzano le differenti traiettorie di organi e tessuti nel tempo. Tuttavia un approccio riduzionista, concentrato su singoli sistemi, potrebbe far perdere di vista l’organismo nella sua globalità: alcuni organi risentono di più del tempo che passa rispetto ad altri, ma per una longevità in salute occorre considerare anche parametri diversi e, per esempio, non dimenticare l’importanza della socialità che pur non avendo effetti diretti su organi o apparati mantiene giovani tanto quanto l’esercizio fisico, che conta perfino più della dieta».

Movimento

Ciò che abbiamo a disposizione di più simile alla fontana della giovinezza è proprio il movimento, perché incide in positivo su gran parte degli invecchiotipi. E se identificare il proprio non è (ancora) facile, esiste tuttavia un modo per capire le proprie debolezze, come precisa il geriatra: «Quando iniziamo a prendere medicine per un problema cronico, significa che quello è il nostro tallone d’Achille e da lì inizia il declino: se c’è uno squilibrio in un sistema, a cascata poi si aggiungono altri deficit. Qualunque patologia può innescare l’accelerazione dell’.

Invecchiare in salute in altri termini significa ammalarsi tardi, ma si può sempre fare qualcosa per «ringiovanire». L’invecchiamento di successo è anche quello migliore che si può avere rispetto alle proprie possibilità: una persona con difficoltà di movimento che non esca più di casa può sempre essere aiutata a farlo di nuovo. Riuscirci sarà un successo, un miglioramento nella qualità di vita, che è quanto ci interessa davvero man mano che gli anni passano».

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